Ci sono libri che ti restano addosso. Libri che leggi una volta e poi ti dici "mai più" tanto sono stati disturbanti e d'impatto emotivo. Cecità è proprio uno di questi libri. Potente, diretto, scomodo ma, appunto per questo, anche estremamente forte e importante per il messaggio che contiene.
L'ho letto ormai tanti anni fa ma la storia che il suo autore racconta e le emozioni che mi ha suscitato, fanno sì che mi risuoni ancora nella testa come se l'avessi letto ieri.
Ho scelto di parlarne ora, in questo delicato momento storico, perché ritengo che mai come ora quel libro sia di un'attualità sbalorditiva.
Nel mondo di oggi infatti, così iperconnesso, dove grazie ai social vediamo tutto ma guardiamo poco (e ne capiamo ancora meno), dove scorriamo immagini in modo così assuefatto da non "sentire" più niente, "Cecità" ci ricorda di fermarci un istante e ci invita a chiederci: cosa vediamo, davvero, ogni giorno? e cosa fingiamo, invece, di non vedere?
Per spiegare meglio questo concetto faccio un breve riassunto del libro senza "spoilerare" il finale per chi volesse leggerlo.
"Se puoi vedere, guarda.
Se puoi guardare, osserva."
Con questa frase emblematica - ma anche significativa - si apre il romanzo dello scrittore premio Nobel J. Saramago.
La storia ha inizio con un uomo fermo al semaforo, il quale, improvvisamente, diventa cieco. Di punto in bianco, semplicemente, non riesce a vedere più nulla.
Tuttavia a differenza di quanto si possa erroneamente immaginare, la misteriosa cecità che lo colpisce non è "scura" ma, anzi, davanti ai suoi occhi appare un bianco lattiginoso, una luce talmente accecante da cancellare ogni contorno dei vari oggetti che lo circondano e renderlo, in tal modo, cieco.
Da quel momento una strana epidemia comincia a diffondersi e, nel tentativo di arginarla, poiché si diffonde in modo soprendentemente veloce, le autorità iniziano a rinchiudere i ciechi in strutture isolate e fatiscenti sperando così di contenerne il contagio.
In pochissimo tempo però, tutti gli abitanti di quella comunità diventano non vedenti. Tutti, tranne una persona. Una donna, moglie di un medico anche lui cieco, la quale sembra invece essere immune a questa strana epidemia.

A ben vedere però, quello che poteva sembrare a prima vista, sia alla protagonista che all'ingenuo lettore, come un dono o un privilegio, si rivela essere, invece, una condanna. Perché quella donna, l'unica rimasta vedente, sarà infatti costretta a vedere il lato più oscuro e bestiale della natura umana.
Cecità intesa non solo come condizione clinica.
La cecità descritta da Saramago dunque, è una metafora o meglio ancora, un'allegoria brutale e lucidissima perché non rappresenta una condizione fisica: è mentale, etica e relazionale. E' da considerarsi più come l'incapacità di vedere e riconoscere l'altro quale essere umano. La cecità è quindi quel meccanismo che spegne l'empatia e lascia spazio all'indifferenza e al puro istinto di sopravvivenza.
A riprova di ciò, c'è una frase del libro che mi ha particolarmente colpito e che credo racchiuda l'essenza del messaggio che Saramago vuole far arrivare ai suoi lettori, la quale dice:
"Penso che non siamo diventati ciechi, penso che lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono."
Ecco, ritengo che questa frase sia da considerarsi come il cuore stesso del libro e sono abbastanza sicura che Saramago, con queste parole, voglia farci intendere che non abbiamo perso la vista fisicamente: abbiamo scelto di non vedere. La Cecità quindi non è un'epidemia, un incidente ma piuttosto è una condizione, una forma di insensibilità e di egoismo.
Il vero virus quindi, non è la cecità in sé: è la disumanizzazione! E tale disumanizzazione avviene quando l'altro diventa per noi "invisibile", quando non "sentiamo" più il suo dolore e quando, in una parola, non proviamo più un briciolo di empatia.
E' in quel preciso momento che l'umanità tutta si spegne secondo Saramago.
Per concludere quindi questa breve recensione su uno dei miei libri preferiti, non si può certo dire che "Cecità" sia un romanzo che offra risposte facili. Come ho già detto infatti, è un capolavoro sì, ma è anche scomodo, disturbante, forte e tuttavia necessario.
Necessario perchè ci invita a fermarci e a riflettere.
Perchè ci obbliga a guardarci dentro, dove spesso invece non soffermiamo lo sguardo.
E infine perché tra le sue pagine, ci chiede: "Cosa faresti tu, se fossi l'unico a vedere?"