
“La legge 194 non è una legge che promuove l’aborto. È una legge che ha salvato la vita e la salute di milioni di donne.” - Emma Bonino
Prima del 1978 l'aborto era un reato penale in Italia, punito ai sensi degli articoli 545-551 del Codice Rocco del 1930 (epoca fascista). Era vietato in ogni caso, anche in presenza di pericolo per la salute fisica o psichica della donna, o in caso di stupro, malformazione del feto, o addirittura incesto.
Nonostante il divieto, l’aborto era una pratica diffusissima, soprattutto tra donne povere o isolate: si stima che negli anni '60 e '70 si verificassero centinaia di migliaia di aborti clandestini all’anno. Le donne si rivolgevano a "mammane" (abortiste non professioniste), oppure tentavano metodi pericolosi: decotti, ferri da calza, iniezioni, traumi addominali. Una delle pratiche più note (e mortali) era l’introduzione di oggetti appuntiti (come aghi da calza, ferri da maglia o grucce di ferro) nell’utero per provocare un’emorragia e l’espulsione del feto ma, ovviamente, tra le conseguenze di queste pratiche si riscontravano spesso infezioni, perforazioni dell’utero, emorragie interne, shock settico e morte. Alcune donne assumevano infusi a base di erbe tossiche (come prezzemolo ad alte dosi, ruta, tanaceto, olio di ricino o chinino), nella speranza che provocassero l’aborto con rischio di avvelenamento, convulsioni, danni epatici o renali. Non sempre l’aborto avveniva, ma il danno al corpo era gravissimo. A peggiorare la loro già delicata condizione c’era la condanna per le donne che abortivano (o ci provavano) con il carcere: perfino i medici (così come chiunque le aiutasse ad abortire) potevano essere incriminato per “interruzione di gravidanza” o “omicidio del concepito”. I processi erano umilianti: donne spesso minorenni o in condizioni disperate venivano messe alla gogna davanti a giudici e medici legali.
Per denunciare questi trattamenti allucinanti, negli anni ’60 e ’70 nacquero movimenti femministi, radicali e progressisti che iniziarono a denunciare questa situazione. Figure come Emma Bonino, Marco Pannella, Lina Merlin e molti collettivi di donne portarono il tema all’opinione pubblica. Il Partito Radicale fu tra i principali promotori della legalizzazione dell’aborto, anche con azioni di disobbedienza civile. Le donne iniziarono a coalizzarsi, ad unirsi per combattere, a credere di poter ottenere diritti per sè stesse e per tutte quelle dopo di loro. Portarono alla luce storie, racconti di umiliazioni che aiutarono a sensibilizzare l’opinione pubblica sul diritto all’aborto.

Il Caso di Gigliola Pierobon
Nel 1973, Gigliola Pierobon, una giovane contadina di 23 anni originaria di San Martino di Lupari (Padova), fu processata per aver praticato un aborto clandestino quando era ancora minorenne: rimasta incinta a 17 anni infatti e successivamente abbandonata dal compagno, temeva di essere cacciata di casa e si sottopose quindi a un aborto non sicuro, che le causò una grave infezione. Il processo si tenne a Padova nel giugno 1973 e attirò l'attenzione nazionale, diventando un simbolo della lotta per la legalizzazione dell'aborto. La difesa, guidata dall'avvocata Bianca Guidetti Serra, trasformò il caso in una battaglia ideologica, evidenziando come la criminalizzazione dell'aborto colpisse soprattutto le donne più vulnerabili. La sentenza si concluse con un perdono giudiziale, motivato dalla "profonda pietà" verso chi si trovava in una situazione difficile e dalla "resipiscenza dimostrata" con l'accettazione di una seconda maternità. Tuttavia, Pierobon rifiutò il perdono, affermando: "Il loro perdono non lo voglio: non mi sento colpevole".
Il caso Pierobon contribuì a sensibilizzare l'opinione pubblica e a spingere verso la depenalizzazione dell'aborto, culminata con l'approvazione della legge 194 nel 1978. Tra le donne che più hanno contrinuito alla legalizzazione del diritto all’aborto emerge Emma Bonino, una delle figure più emblematiche della storia politica italiana per quanto riguarda la battaglia per i diritti civili e, in particolare, per il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Il suo nome è indissolubilmente legato al percorso che ha portato all’approvazione della legge 194/1978, una delle riforme sociali più significative della storia repubblicana.
Emma Bonino, giovane militante radicale, comprese che il cambiamento non poteva avvenire solo attraverso le aule parlamentari: serviva un’azione politica radicale, provocatoria, concreta. Nel 1975, con il Partito Radicale, fondò il CISA – Centro di Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto. Questo centro non si limitava a informare: praticava attivamente aborti illegali con la cosiddetta “macchina Karman”, una tecnica di aspirazione uterina molto più sicura di quanto veniva fatto clandestinamente allora. Era un atto di disobbedienza civile, pensato per salvare vite, ma anche per sfidare apertamente la legge.
Emma Bonino si autodenunciò pubblicamente per aver praticato IVG su donne che si rivolgevano al CISA, affermando con forza che l’aborto non era una questione morale, ma di salute pubblica e di dignità femminile. Il suo gesto ebbe un enorme impatto mediatico e politico. Non si trattava di una semplice “protesta”: Bonino si esponeva personalmente, rischiando il carcere, e portava la questione dell’aborto fuori dalla clandestinità, mostrandone i costi umani e sociali. Le sue battaglie diedero voce a migliaia di donne che avevano sofferto in silenzio, spesso sole, spesso in condizioni disumane.

Grazie anche all’eco delle azioni radicali e al crescente coinvolgimento dell’opinione pubblica, il Parlamento fu costretto ad affrontare la questione e, finalmente, nel 1978, dopo un intenso dibattito nazionale, venne approvata la legge 194, che legalizzava l’aborto entro i primi 90 giorni di gravidanza (e anche oltre in casi gravi), riconoscendo il diritto della donna di decidere sul proprio corpo. Emma Bonino non fu parlamentare al momento dell’approvazione della legge, ma il suo contributo fu determinante. Rappresentò il volto civile e coraggioso di una battaglia che andava ben oltre l’aborto: parlava di libertà individuale, di laicità dello Stato, di parità tra uomo e donna. Bonino continuò a difendere la 194 anche dopo l’approvazione, denunciando con forza le difficoltà di applicazione della norma in molte regioni, a causa dell’obiezione di coscienza diffusa e della scarsità di servizi pubblici adeguati. In questo senso, la sua figura non è solo quella di un’attivista o di una politica, ma di una testimone storica del cambiamento. Emma Bonino ha trasformato il dolore e l’invisibilità di molte donne in una causa pubblica, contribuendo a cambiare per sempre il rapporto tra cittadino e istituzioni in tema di diritti riproduttivi.
Legge 194/78
La legge 194 del 1978 bilancia due diritti fondamentali:
● Il diritto della donna all’autodeterminazione e alla salute.
● La tutela della vita umana fin dal suo inizio, in linea con l’articolo 2 e 32 della Costituzione
L’ aborto è consentito entro i primi 90 giorni (12 settimane) in caso di:
● Rischio per la salute fisica o psichica della donna.
● Problemi economici, sociali, familiari.
● Violenza, incesto, minore età.
La donna presenta una richiesta motivata al medico, che può proporre soluzioni alternative, ma non può impedire la decisione. Dopo 7 giorni dalla certificazione medica (salvo urgenze), la donna può procedere con l’IVG che può essere attuata in Consultori territoriali o Ospedali specializzati. Tuttavia, nonostante la legalizzazione del diritto all’aborto, ci sono ancora tantissimi medici obiettori di coscienza. L'obiezione di coscienza è il diritto di una persona di rifiutare di compiere un'azione che ritiene moralmente o eticamente incompatibile con le proprie convinzioni personali, religiose, filosofiche o morali. Secondo la relazione del Ministero della Salute nel 2021 le percentuali nazionali di medici obiettori di coscienza si sono così suddivise:
● Ginecologi: 63,4% si sono dichiarati obiettori di coscienza.
● Anestesisti: 40,5% hanno fatto obiezione.
● Personale non medico: 32,8% ha esercitato il diritto all'obiezione
A livello regionale invece le percentuali di obiettori variano significativamente tra le regioni:
● Sicilia: 85% dei ginecologi sono obiettori.
● Abruzzo: 84% di obiettori tra i ginecologi.
● Puglia: 80,6% di ginecologi obiettori.
● Campania: 74% dei ginecologi si dichiarano obiettori.
Al contrario, regioni come la Provincia Autonoma di Trento (17,1%), la Valle d'Aosta (25%) e l'Emilia-Romagna (45%) presentano percentuali significativamente più basse di obiettori tra i ginecologi.
L'elevata percentuale di obiettori, soprattutto in alcune regioni italiane, può rendere difficile l'accesso all'IVG, nonostante la legge 194/78 preveda che le strutture sanitarie garantiscano comunque il servizio: le donne si ritrovano infatti a dover "scappare" dalla propria regione per esercitare un loro diritto, devono sentirsi inadeguate nel luogo dove hanno sempre vissuto perchè la struttura non garantisce loro un diritto definito dalla legge. Inoltre, le strutture che invece si rendono disponibili, sono spesso sovraffollate e rischiano di tardare una valutazione e di conseguenza un intervento urgente.
A peggiorare questa situazione, vorrei trattare dei movimenti "pro vita". Tali movimenti sono gruppi e organizzazioni che si oppongono all'aborto e generalmente sostengono la protezione e la difesa della vita umana fin dal concepimento. Le posizioni di questi movimenti si basano su convinzioni religiose, morali e filosofiche riguardo al valore della vita umana e alla dignità di ogni individuo, in particolare durante le prime fasi di sviluppo nel grembo materno. L'obiettivo principale per molti movimenti pro vita è quello di fermare la pratica dell'aborto poiché considerano l'aborto come moralmente inaccettabile in quanto uccide una vita umana. Promuovono, inoltre, la convinzione che la vita inizi dal momento del concepimento e che il feto abbia diritto alla protezione. Spesso spingono per leggi che limitino l'accesso all'aborto o che lo rendano illegale in determinate circostanze: in molti paesi, ad esempio, i gruppi pro vita si battono per leggi che vietano l'aborto dopo un certo periodo di gravidanza o in caso di anomalie fetali. Enfatizzano l'importanza della famiglia tradizionale come nucleo fondamentale della società. Questo include la promozione di valori legati alla maternità e alla paternità, e a volte la difesa del matrimonio come istituzione.
Niente di più sbagliato!
I movimenti pro vita partono dal presupposto che la scelta della donna sia data esclusivamente dalla non volontà di intraprendere una gravidanza, ma, molto spesso non è così. Ho ascoltato storie di donne che a malincuore hanno dovuto intraprendere questa sofferta decisione per difficoltà economiche, per violenze subite, per incapacità psicologica a portare a termine una gravidanza e perchè no, anche perchè la gravidanza non è una loro priorità in quel momento e anche solo per questo, andrebbe rispettata. Si pensa spesso che la gravidanza sia un miracolo, una manna dal cielo - e per alcuni è indubbiamente così - ma bisogna anche accettare l’idea contraria per cui la gestazione può essere vista come una gabbia, come una trasformazione del proprio corpo che non si vuole davvero, come una prigionia e, di conseguenza, come sofferenza.
Siamo medici non giudici: aiutiamo le donne a salvare una gravidanza e a portarla a termine e abbiamo l'obbligodi aiutare una donna a porne fine quando per essa è fonte di estremo disagio. Ho avuto la fortuna di lavorare con colleghi estremamente sensibili e delicati sul tema, mai hanno espresso giudizi, hanno sempre cercato di preservare questo diritto ed esercitarlo nella maniera più appropiata. Non basta garantire un diritto, dev’essere garantito nella maniera più delicata possibile: sorriso, negazione del giudizio, delicatezza nella visita, riservatezza durante l’ecografia. Le donne hanno bisogno di capire che esiste sempre una via d’uscita e che esistono contraccettivi per evitare che quella situazioni non si verifichi più nel futuro.
Noi, in quanto medici, abbiamo il compito di esserci e di supportarle.
Sempre e in ogni loro decisione.
Ottime osservazioni.
Le donne hanno bisogno di sanitari che sappiano ascoltarle ed accoglierle quando si rivolgono a noi .Qualsiasi sia la natura del loro bisogno .
Non dimentichiamo mai che che accogliere ed ascoltare fanno parte del percorso di cura.
Molto interessante e istruttivo , mette in evidenza sfaccettature che spesso non notiamo.
Non mi piace affatto il tuo racconto, specie degli anni prima della legge. Solo a Roma esistevano 5 nuclei femministi x l’aborto clandestino NON solo il CISA e i radicali. In piazza a gridare ‘ Palle bianche palle nere vi tagliamo quelle vere’ eravamo decine di migliaia di centinaia di collettivi di tutti i quartieri e di tutte le città. Il self help era una pratica comune , ovvero in modo di conoscersi l’un l’altra e dí valorizzare la nostra sessualità. La Macchina Karman NON esiste. Usavamo pompe aspiranti e la novità era l’uso di materiale in plastica e di cannule aspiranti in plastica di varie misure invece che curette di raschiamento. Scusa ma il tuo tono di chi salva le donne è non di chi è un semplice tramite x una scelta che a volte non è così tragica e dolorosa specie se l’accompagnamento alla pratica abortiva non è giudicante …davvero non lo trovo corretto!!