
Premessa
Sappiamo tutti quello che sta accadendo ormai da qualche giorno: il 13 giugno 2025 Israele ha dato avvio all'operazione militare denominata "Operation Rising Lion" - in italiano "Operazione leone nascente" - un nome carico di simbolismo storico e politico. Il riferimento è al leone con la spada, antico simbolo della bandiera iraniana sotto la monarchia Pahlavi, che rappresentava forza, sovranità e anche valori religiosi sciiti legati ad Ali. Con questa scelta Israele non mira, teoricamente, al popolo iraniano ma vuole delegittimare il regime degli ayatollah, evocando un passato pre - rivoluzionario in chiave strategica e comunicativa. Allo stesso tempo, il riferimento al leone include anche un significato biblico, coerente con la tradizione israeliana di usare simboli religiosi per le operazioni militari. Netanyahu stesso ha sottolineato questo aspetto inserendo un biglietto scritto a mano nel Muro Occidentale di Gerusalemme con il versetto biblico: “ Un popolo che come un leone si solleva”.
Da qualche giorno tv, giornali e in generale tutti i media non fanno altro che riportare notizie sulla quantità di missili lanciati durante il giorno - e la notte - da Israele verso l'Iran e viceversa. Perché quindi parlare ancora di questo tema se già ogni giorno ci sono centinaia di notizie a riguardo?
La prima risposta è relativa al fatto che mi sono personalmente stufata di quanto i media spesso distorcono o coprono la verità, semplificando una realtà che è invece molto complessa oppure spesso prendendo le parti di uno Stato anziché essere imparziali. E, in secondo luogo, perché ritengo che anche chi non ha alcuna conoscenza del diritto internazionale abbia il diritto di sapere come stanno realmente le cose: ciò che sta accadendo in Medio Oriente non riguarda esclusivamente le persone che vivono solo in quella parte del mondo infatti, bensì tutti noi! e prima o poi - più prima che poi in realtà - influenzerà anche le nostre vite qui in Europa. Le bombe, infatti, non conoscono confini mentali, non si fermano davanti alle nostre mappe, alle nostre ideologie e alle nostre distinzioni tra “noi” e “loro”. L’idea che un conflitto possa restare confinato (geograficamente o politicamente) è un'illusione ed è smentita ogni giorno dalla realtà globale in cui viviamo: ciò che sembra lontano – una guerra in Medio Oriente, una crisi ai confini dell’Europa, un’escalation nucleare tra potenze rivali – ha (e avrà) ripercussioni ben visibili anche nei nostri Paesi.
Per quale motivo? Perché I mercati reagiscono con instabilità, i prezzi di energia e materie prime salgono e le filiere produttive si interrompono. Oltre a ciò le guerre generano ondate di rifugiati e migranti forzati, mettono sotto pressione i sistemi di accoglienza, alimentano tensioni politiche interne ma, soprattutto, minano la nostra libertà individuale e collettiva: in nome della sicurezza si rafforzano misure eccezionali, controlli e censure. Ciò che accade altrove diventa quindi il pretesto per ridefinire i confini della democrazia anche nel nostro quotidiano.
Questo articolo nasce quindi dalla volontà personale di spiegare, in termini semplici, il concetto di autodifesa preventiva per il diritto internazionale in modo da dare la possibilità a te che leggi di farti un'idea sulla complessità della situazione basandoti però sulle norme di diritto in senso tecnico e non su quanto i media propinano.
Legittima difesa e autodifesa preventiva: due concetti diversi
Prima di addentrarmi nello specifico nel caso Israele - Iran, è utile innanzitutto chiarire cos'è il principio di legittima difesa - invocato da Israele nella forma di autodifesa preventiva - dal punto di vista del diritto internazionale e, per far ciò, riporto direttamente l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che dice:
“Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto inerente alla legittima difesa individuale o collettiva nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite […]”.
Da ciò si evince quindi che la legittima difesa degli Stati è subordinata alla presenza di un attacco armato effettuato da uno Stato contro un altro. Attenzione però, perché nell'art. 51 della Carta ONU non si parla di "autodifesa preventiva" così come invocata da Israele bensì di legittima difesa di uno Stato. Si parla, cioè, della possibilità che uno Stato si difenda legittimamente rispondendo ad un attacco armato che però ha già subito!
Questa quindi è la norma. Semplice, concisa e diretta. Non vi è alcuna "autodifesa preventiva" ma, semmai, una legittima difesa. Due concetti che in diritto sono ben diversi.
A questo punto tu lettore potresti chiederti perché allora se la norma parla di legittima difesa Israele ha invocato il principio di autodifesa preventiva?
La risposta a questa domanda apre il discorso ad un argomento più complesso per il quale è doveroso fare una premessa: la Carta delle Nazioni Unite, fondamento del diritto internazionale su cui si basano i rapporti tra tutti gli Stati dell'ONU, è stata redatta e firmata nell'ormai lontano 26 giugno del 1945, quando il mondo era chiaramente ben diverso da quello odierno. Pur tuttavia la Comunità internazionale - ossia l'insieme di tutti gli Stati aderenti all'ONU - la considera naturalmente ancora valida per regolare i rapporti diplomatici tra gli stessi. Gli Stati aderenti ad essa si sono però riservati la libertà - e qui sorgono i grandi dilemmi del diritto internazionale - di "interpretare" le norme della Carta ONU in maniera più ampia con l'intenzione di adattarle al meglio alla società attuale. Per far ciò è stato creato, nel tempo e negli anni, uno strumento denominato "consuetudine internazionale" che ha assunto la stessa importanza delle norme di diritto scritte nella carta ONU.
Lo strumento della consuetudine internazionale non è altro che "un comportamento costante e uniforme tenuto dalla maggior parte degli Stati, accompagnato dalla convinzione che tale comportamento sia giuridicamente obbligatorio".
In parole semplici, la consuetudine internazionale è uno strumento del diritto che si basa sul comportamento degli Stati nel tempo. Cercando di semplificare ancora di più il concetto, si tratta di un comportamento che viene eseguito in modo costante e simile dalla maggior parte degli Stati, accompagnato dalla convinzione che quel comportamento non sia solo utile o conveniente, ma obbligatorio dal punto di vista giuridico.
Se, ad esempio, uno Stato si comporta in un certo modo (perché crede che sia legalmente corretto agire in quel modo), e altri Stati iniziano a fare lo stesso (accettando quella stessa interpretazione del diritto come valida), allora – col tempo e con la ripetizione – quel comportamento può diventare una vera e propria regola non scritta, riconosciuta da tutta la comunità internazionale. Quando questo accade, si parla di consuetudine internazionale: una norma che, pur non essendo stata scritta in un trattato, viene considerata comunque vincolante per tutti gli Stati alla stregua di quelle scritte.
Ed è qui che sorgono i problemi.
Nel caso specifico, cioè quello che riguarda il concetto di legittima difesa previsto dall’articolo 51 della Carta ONU, diversi Stati hanno scelto di interpretarlo in modo più ampio per adattarlo meglio alle nuove minacce del mondo moderno. L’intenzione iniziale era buona: rendere più efficace il diritto alla difesa in un contesto in cui i pericoli non sempre si presentano con un attacco diretto e immediato. Tuttavia, questa interpretazione così estesa ha avuto anche conseguenze negative perché ha finito con il diventare un pretesto per alcuni Stati - tra cui Israele e gli Stati Uniti – per attaccare altri Paesi sovrani, giustificando le loro azioni con la necessità di difendersi in anticipo, cioè in modo “preventivo”.
Nel frattempo, però, questa nuova interpretazione dell'art. 51 si è ripetuta così tante volte nella prassi internazionale degli Stati da trasformarsi, appunto, in una consuetudine internazionale. Il risultato di tutto questo è che dal punto di vista puramente giuridico non è più possibile accusare formalmente gli Stati di aver violato l’articolo 51 della Carta ONU - giacché ormai la prassi ha modificato il significato originale della norma - e quindi non si parla più solo di legittima difesa in risposta a un attacco ma anche di autodifesa preventiva contro minacce future.
Il dibattito su questo tema, come si può evincere, è delicato e ancora oggi i giuristi internazionali lo stanno trattando visto che alcuni tra essi fanno ricadere l'autodifesa nel concetto di legittima difesa mentre per altri è un'interpretazione troppo estensiva del concetto di legittima difesa. Tuttavia anche in questo caso il diritto ci viene in aiuto perché le radici di tale dibattito affondano nella dottrina nata a seguito del caso Caroline del 1837 quando fu stabilito che per essere legittima, l'autodifesa anticipata (o preventiva) doveva rispettare dei criteri molto restrittivi (validi ancora oggi) e cioè:
• Imminenza della minaccia: l'attacco deve essere in procinto di verificarsi
• Necessità: non vi devono essere alternative praticabili
• Proporzionalità: l'uso della forza da parte dello Stato deve essere proporzionato alla minaccia.
Anche in questo caso però, sebbene la maggior parte degli Stati all'epoca si era detta d'accordo - e in diritto vige come regola suprema quella del consenso ovvero se non parli allora sei d'accordo - la società mondiale è molto cambiata da quel lontano 1837 e quindi alcuni Stati, tra i quali Stati Uniti e Israele (eh sì, purtroppo sono quasi sempre loro), hanno espresso perplessità a riguardo affermando di essere propensi ad un'interpretazione più morbida del concetto di autodifesa.
In particolare:
• Gli Usa - dopo i famosi attacchi dell'11 settembre 2001 - con la dottrina Bush hanno esplicitamente promosso l'idea del diritto di colpire per primi in caso di minaccia terroristica imminente (anche se non ancora concretizzatasi). Questo orientamento ha però avuto gravi ripercussioni in seguito quando gli stessi USA hanno deciso di attaccare, sulla base dell'autodifesa preventiva, l'Iraq nel 2003 adducendo come giustifica la presunta presenza di armi chimiche - che non sono mai state trovate - ed avviando, nei fatti, quella che in seguito è stata considerata come una vera e propria invasione di uno Stato sovrano (l'Iraq) ad opera di un altro (gli USA).
• E Israele che avanza, di tanto in tanto, presunte minacce alla sua esistenza come Stato sovrano ed ha utilizzato più volte questa giustificazione per bombardare gli Stati a lui vicini (sud della Siria) o più lontani (Yemen), annettendo parte del Libano e attualmente attaccando l'Iran.
Sono ormai decenni, quindi, che lo Stato di Israele ha sviluppato una dottrina militare la quale legittima l'uso della forza in forma preventiva eppure, nonostante violi la lettera e lo spirito della legalità internazionale, non subisce alcuna sanzione per le sue azioni aggressive da parte della comunità internazionale e anzi, continua ad agire in questo modo forte dell'appoggio implicito (e spesso esplicito) degli Stati Uniti e di altri alleati occidentali.
Il diritto internazionale e più in generale il diritto può fare tanto, è vero, ma non può risolvere tutto specialmente se (e quando) i capi di Stato, nel momento in cui devono prendere decisioni così delicate e importanti, fanno prevalere interessi economici, politici e commerciali sul diritto stesso.
Iran: lo Stato sotto osservazione
Al contrario dello Stato israeliano, l'Iran è firmatario del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT) - che impedisce la corsa agli armamenti nucleari promuovendo un uso pacifico dell'energia nucleare - firmato nel 1968 e ratificato nel 1970. L'adesione a tale trattato comporta l'obbligo di non sviluppare armi nucleari e di permettere ispezioni regolari da parte dell'AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica). Le attività degli ingegneri nucleari iraniani sono perciò fin dal 1970 soggette a continue ispezioni, controlli e monitoraggi, seppure a volte in un clima di tensione o più aspro. In tutti questi anni l'AIEA in tutte le ispezioni che ha effettuato non ha mai rinvenuto un'arma atomica ma, semmai, ha constatato la presenza di una tecnologia tale da produrre potenzialmente un'arma nucleare che però allo stato attuale non c'è: sono infatti del 18 giugno le dichiarazioni del Direttore dell'AIEA Rafael M. Grossi secondo il quale non esiste attualmente in Iran alcun piano per costruire una bomba atomica.
Nel 2015 inoltre, con il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action - il famoso accordo sul nucleare iraniano), l'Iran ha accettato ulteriori limitazioni alla creazione di un ordigno nucleare ma gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente nel 2018, sotto l'amministrazione Trump, riaccendendo lo scontro con l'Iran stesso. Adesso, con questa escalation e questa operazione militare avviata da Israele, Teheran ha minacciato di uscire dall'NPT: una scelta estrema, ma come risposta a un'aggressione da parte di uno Stato che nemmeno riconosce il trattato e che non l'ha mai firmato. Se davvero dovesse uscire dal NPT a seguito di questa scellerata operazione militare iniziata il 13 giugno, l'Iran avrebbe infatti tutte le ragioni del mondo e, di fatto, lo Stato israeliano gli avrebbe dato la motivazione giusta per ritirarsi. A quel punto, uscendo dal NPT, l'AIEA non potrebbe più controllare i lavori degli ingegneri nucleari iraniani dando davvero la possibilità agli Ayatollah di armarsi di una bomba atomica.
Ricapitolando quindi da una parte c'è l'Iran che ha firmato un trattato di non proliferazione, si sottopone ai controlli dell'AIEA e aderisce al JCPOA e dall'altra c'è Israele. La domanda a questo punto sorge spontanea: com'è messo Israele dal punto di vista del diritto internazionale? A quali trattati ha aderito?
Spoiler: a nessuno di questi.
Quella che si autodefinisce come l'unica democrazia del Medio Oriente infatti:
• Ha rifiutato di firmare il Trattato di Non Proliferazione;
• Non aderendo al NPT non permette le ispezioni e i controlli dell'AIEA dunque non è dato sapere il suo armamentario nucleare quanto grande sia;
• Riceve ogni anno circa 3,8 miliardi di dollari in aiuti militari dagli USA;
• Persegue una politica di "ambiguità nucleare" non confermando né smentendo il possesso di armi nucleari;
• Ha ripetutamente minacciato (e stavolta attaccato) le basi nucleari iraniane;
• Ha assassinato scienziati iraniani con le loro famiglie pur disponendo del Mossad che è considerato essere il servizio segreto più efficiente al mondo e che come tale si potrebbe permettere, se volesse, di eliminare solo i target e non i loro familiari;
• Ha coordinato attacchi cibernetici - come quello denominato Stuxnet - per sabotare il programma nucleare iraniano che, ripeto, è comunque sottoposto più volte all'anno a controlli e ispezioni; e infine
• Nel 2023, tramite il suo Ministro degli Esteri Amihai Eliyahu, ha affermato che "una bomba nucleare su Gaza è una delle possibilità che stanno vagliando" implicando, con tale frase, la presenza di testate nucleari sul suolo israeliano;
In aggiunta a tutto ciò, tra il 1976 e il 1985 un ex ingegnere israeliano - noto con il nome di Mordechai Vanunu - ha lavorato presso il centro nucleare segreto di Demona in Israele, dove ha scoperto l'esistenza di un arsenale atomico non dichiarato. Nel 1986 ha poi rivelato al Sunday Times l'entità del programma nucleare clandestino di Israele (di circa 200 testate), fornendo anche foto e dati tecnici. Pochi giorni prima della pubblicazione, è stato rapito a Roma dal Mossad (il servizio segreto israeliano), riportato in Israele e condannato a 18 anni di carcere, 11 dei quali trascorsi in isolamento. E' stato rilasciato nel 2004 ma è tuttora soggetto a forti restrizioni: non può lasciare Israele né parlare con giornalisti stranieri.
La questione dei diritti umani in Iran: un alibi per la guerra?
C'è poi un'altra questione che viene spesso sollevata quando si parla di Iran ed è relativa alla situazione negativa dei diritti umani che tante volte organizzazioni come Amnesty International o Human Rights Watch hanno sollevato. Indubbiamente non si può certo dire che l'Iran brilli in quanto a salvaguardia dei diritti basilari della persona - e ne abbiamo avuto testimonianza attraverso i media che in questo caso hanno mostrato la verità - ma anche questi crimini, sebbene così brutali, non possono costituire una giustificazione legittima per l'aggressione armata da parte di uno Stato contro un altro.
Secondo l'articolo 2 (7) della Carta delle Nazioni Unite infatti:
"Nessuna disposizione della presente Carta autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato".
Questo principio, noto come Principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati, stabilisce che, per quanto deplorevoli siano le politiche interne di un Paese, esse non danno automaticamente diritto ad altri Stati di violare la sua sovranità territoriale attraverso la forza. Uno Stato straniero ha infatti il dovere di intervenire se e solo se il conflitto interno di un altro Stato ha raggiunto proporzioni tali da sfociare in un conflitto internazionale che, come tale, ha la potenzialità di ledere gli abitanti degli altri Stati sovrani. Per queste ragioni, dunque, usare la causa dei diritti umani come paravento per interventi militari unilaterali rischia di trasformare il diritto internazionale in uno strumento arbitrario, manipolabile a seconda delle convenienze geopolitiche del momento. Ergo anche nell'ipotetico caso che Israele avesse iniziato questa operazione davvero per rovesciare un regime autoritario e salvaguardare i diritti umani degli iraniani, avrebbe comunque commesso una violazione di diritto internazionale e dovrebbe essere sanzionato.
Conclusioni
Per rispondere allora alla domanda se l'attacco di Israele verso l'Iran soddisfi i requisiti per invocare il principio di autodifesa preventiva - come estensione di quello della legittima difesa - la risposta dal punto di vista tecnico del diritto internazionale è NO in quanto:
1. Minaccia imminente: Non vi era ALCUNA minaccia imminente di attacco dell'Iran a Israele né con armi tradizionale né con l'atomica
2. Necessità: l'attacco di Israele non era necessario giacché qualche giorno dopo l'inizio dell'operazione militare i capi di Stato si sarebbero dovuti sedere di nuovo al tavolo delle trattative e l'Iran aveva accettato di esserci dunque si poteva affrontare la situazione dapprima diplomaticamente;
3. Proporzionalità: l'operazione Rising Lion NON è assolutamente proporzionale a ciò che stava avvenendo dato che l'Iran non stava preparando alcun attacco imminente e non vi è alcun ordigno nucleare in Iran.
In conclusione, si evince che la comunità internazionale si mostra pronta e veloce a sanzionare, isolare e minacciare Stati che si muovono al di fuori dei parametri fissati dall'NPT - com'è giusto che sia data l'importanza giuridica di tale trattato e la gravità degli armamentari nucleari se utilizzati - tuttavia, nel caso di Israele, il silenzio è assordante. I suoi attacchi vengono spesso accolti con comprensione, se non con approvazione tacita mentre il diritto alla sicurezza viene invocato solo da chi ha i mezzi (e gli alleati) per farlo valere a senso unico. Ad oggi l'UE si è resa infatti ridicola e tramite la Presidente della Commissione europea U. von der Leyen ha addirittura parlato del diritto di Israele a difendersi dall'Iran - quando lo Stato aggressore è in realtà Israele stesso - e non ha adottato alcun pacchetto di sanzioni contro l'aggressore; invece all'epoca dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, c'è stata unanimità e consenso nell'UE di "punire" lo Stato invasore (la Russia) colpevole di aver violato il diritto internazionale attaccando (e poi pure invadendo) un altro Stato sovrano (l'Ucraina).
Allora mi chiedo, se il diritto internazionale ha davvero un senso deve valere per tutti, non solo per alcuni perché, altrimenti, rischia di essere solo uno strumento geopolitico nelle mani dei più forti: il caso Israele - Iran ne è una prova lampante. Inoltre, chi ha l'atomica non deve sentirsi superiore agli altri Stati sovrani così come la sicurezza della protezione delle potenze occidentali non deve essere considerata come uno scudo per permettere - ad alcuni Stati - di agire al di sopra del diritto stesso restando finanche impuniti.
Perché se il diritto vale solo per alcuni, non è più diritto. E' solo potere.
Fonti: